La definiscono la madre di tutte le regate oceaniche, la capostipite di tutte le circumnavigazioni del globo in barca a vela, ma cos’è in realtà la Golden Globe Race e da dove nasce, ma soprattutto, perché ha affascinato e continua ad affascinare i marinai di tutto il mondo?
La storia della celebre Golden Globe Race inizia nel maggio del 1967 quando Francis Chichester, a bordo del ketch Gipsy Moth IV, fa qualcosa di incredibile per l’epoca: compie la prima circumnavigazione in solitaria della storia, in soli 226 giorni e con un’unica sosta, a Sidney. Un’impresa epica, ma non imbattibile. L’idea viene a Robin Knox-Johnston, ventottenne capitano della marina mercantile britannica: l’unico modo per superare quel record è circumnavigare il globo senza alcuno scalo.
Anche il Sunday Times ci mette lo zampino. Sull’onda del successo mediatico dell’impresa di Chichester, che aveva fatto registrare alla testata britannica un’incredibile impennata nelle vendite, il giornale decide di spingersi ancora oltre: invece di seguire le imprese di un solo velista, decide di creare e sponsorizzare una nuova circumnavigazione del globo no stop e senza nessun tipo di assistenza.
Così nasce la Golden Globe Race. Una regata senza pari che implica il passaggio in alcuni dei punti più estremi del globo, Capo di Buona Speranza, Leeuwin, Horn.
I nove avventurieri
Alla sua prima edizione, nel 1968, sono in nove a partecipare. Le regole sono semplicissime, quasi inesistenti, un po’ ingenue diremmo oggi. Si considera in regata chiunque parta da qualsiasi porto del Regno Unito tra i 1° giugno e il 31 ottobre, questo per evitare di dover affrontare il temibile inverno australe. Il premio è ricco e fa gola a molti, un globo d’oro e cinquemila sterline, circa centomila euro di oggi. Probabilmente nessuno dei nove partecipanti era realmente consapevole di ciò che di lì a poco sarebbe successo.
Già dalle prime miglia si capisce che questa regata non è come le altre. Prima ancora di lasciare l’Altantico cinque di loro si ritirano.
John Ridgway, scozzese, 29 anni, capitano dell’esercito britannico, dopo sei settimane dalla partenza approda in Brasile, la barca non è adatta a sopportare quel genere di sollecitazioni, continuare sarebbe un suicidio. È un duro colpo per Ridgway che cade in una depressione profonda al punto che il suo sponsor, The People, per limitare i danni d’immagine, è costretto a dare una versione falsa sui motivi dell’abbandono. La stampa darà la colpa alle onde e al vento, ma questa sconfitta brucerà a Ridgway per il resto della su vita.
Neanche Chay Blyth, scozzese e grande amico di Ridgway, con cui nel 1966 aveva attraversato l’Atlantico su una barca a remi, riesce ad arrivare fino in fondo. L’ex sergente dell’esercito britannico non ha alcuna esperienza di navigazione. Inesperto e impreparato, si imbarca con l’intenzione di imparare sul campo. Il suo viaggio termina al largo del Sudafrica, ma non vive questo abbandono come una sconfitta, anzi, sarà per lui una sorta di rinascita che cinque anni dopo lo porterà a compiere un’altra impresa epica, l’ultima rimasta, circumnavigare il globo in solitaria contro i venti dominanti.
In Sudafrica si ferma anche Bill King, agricoltore 57enne, irlandese, ex comandante di sottomarini della Marina britannica. Scuffia e disalbera e così finisce il suo viaggio. Ci riproverà nel 1974 e l’esito sarà ben diverso.
Il mezzo non idoneo costringe al ritiro anche Loic Fougeron, manager francese di 42 anni, che si ferma all’isola di Sant’Elena nel bel mezzo dell’Atlantico meridionale.
E poi c’è l’italiano Alex Carozzo, 36 anni, il favorito. Uno dei navigatori più preparati tra quelli in gara. Di esperienza ne ha da vendere, ha già attraversato in solitaria il Pacifico, forse è l’unico, oltre a Knox-Johnston, che sa davvero cosa sta facendo. Ma è costretto a fermarsi a Lisbona per un’ulcera perforante allo stomaco.
Rimangono in quattro: Nigel Tetley, capitano della Marina britannica, Donald Crowhurst, tecnico elettronico, Bernard Moitessier, scrittore francese e l’ormai noto Robin Knox-Johnston.
Tetley e Crowhurts sono a bordo di trimarani gemelli e portano avanti una gara nella gara, rincorrendosi fin dall’inizio, o almeno questo è quello che crede Tetley e più avanti capiremo perchè. Convinto che l’avversario sia in procinto di raggiungerlo, Tetley chiede troppo alla sua imbarcazione già provata dagli oceani meridionali. Naufraga il 21 maggio a sole 1000 miglia dall’arrivo. Ottiene il primato della circumnavigazione su trimarano, ma è una magra consolazione e non basta a cancellare l’umiliazione di non aver concluso la regata. Muore suicida qualche anno dopo.
Dopo l’uscita di scena di Tetley, Crowhurts sembra avere la vittoria in pugno. Ma accade qualcosa di inaspettato. Improvvisamente interrompe ogni comunicazione con la terraferma e si suicida. La sua barca verrà ritrovata alla deriva il 10 luglio, nei suoi diari tutte le informazioni per comprendere un gesto tanto folle quanto apparentemente immotivato.
Ma cosa è successo realmente a bordo del Teignmouth Electron? Cosa ha spinto Crowhurts a togliersi la vita proprio mentre sembrava stesse per vincere la regata? Forse non tutto è come sembra e per ricostruire la vicenda dobbiamo fare un passo indietro.
Nel 1968 Donald Crowhurts è un giovane imprenditore sull’orlo del fallimento. Per lui la Golden Globe rappresenta un’occasione irripetibile: i soldi in palio metterebbero fine a tutte le sue preoccupazioni. La sua esperienza in mare è di livello amatoriale, è di fatto un dilettante, ma non ci pensa due volte e rischia il tutto per tutto. Si iscrive mentendo sui primati raggiunti e ottiene così gli sponsor per costruire l’imbarcazione con cui tentare l’impossibile. Salpa da Teignmouth, dopo appena qualche settimana a bordo del nuovo trimarano, il 31 ottobre, l’ultimo giorno concesso per la partenza.
Parte male, arrivano i primi problemi tecnici, le difficoltà a manovrare umo scafo che non conosce, il divario con gli altri concorrenti è palese e cresce giorno dopo giorno. Gli mancano attrezzature ed esperienza, nel suo diario di bordo scrive che, se fosse riuscito ad apportare alcune modifiche al trimarano durante la navigazione, le sue probabilità di sopravvivenza sarebbero state del 50%.
Gli ci vogliono circa due mesi per accettare la realtà: vincere per lui è impossibile! A quel punto ha due alternative, ritirarsi ammettendo una sconfitta che porterà la sua famiglia all’indigenza o continuare una corsa disperata in cui rischia di lasciarci la pelle.
Oppure c’è una terza possibilità: mentire. Ed è proprio questa l’opzione che sceglie. Mente a tutti, anche a se stesso. Inizia a comunicare false posizioni alla giuria facendo credere di essere in netto vantaggio rispetto agli altri concorrenti. In realtà la sua barca non è mai uscita dall’Atlantico. Proprio queste menzogne porteranno al naufragio di Tetley.
In un primo momento Crowhurts sembra aver ideato un piano sembra infallibile. Dopo aver tirato a secco il trimarano per effettuare le riparazioni necessarie, contravvenendo al regolamento, si apposta nelle acque tranquille dell’Atlantico con l’intenzione di riunirsi in coda agli altri sulla via del ritorno. Ma i giorni passano e i sensi di colpa crescono, così come la paura di venire scoperto e additato come imbroglione una volta tornato a casa. La sua tattica non sembra più tanto vincente e il suo piano inizia a fare acqua da tutte le parti. Il 1 luglio 1969 si toglie la vita.
In gara ci sono ancora due concorrenti, Moitessier e Knox-Johnston e non potrebbero essere più diversi tra loro. Il primo considera il viaggio la vera impresa, per il secondo invece tutto sta nell’arrivo. Knox-Johnston, capitano della marina mercantile britannica e grande esperto di vela è partito con un obiettivo ben chiaro in testa: imporre il suo record e battere l’impresa compiuta da Chichester. Moitessier è uno scrittore, un filosofo e un lupo di mare, non gli interessa vincere, anzi disprezza tutto il lato commerciale della regata. Sponsor, pubblicità, giornalisti, premi, non fanno per lui. Vuole vivere un’avventura e vuole farlo per pura passione, per questo ha deciso di imbarcarsi.
Eccoli i due finalisti, i due possibili vincitori di questa regata estrema.
Ma in dirittura d’arrivo, quando ancora nulla è deciso ed entrambi possono ambire alla vittoria, accade qualcosa che ha dell’incredibile. Moitessier non si ferma, vuole compiere un altro mezzo giro del mondo, così, a poche miglia dall’arrivo, gira la prua del suo Joshua e fa di nuovo rotta verso sud, abbandonando di fatto la gara.
La spiegazione del suo gesto arriva tramite un messaggio che lo scrittore lancia con una fionda su un mercantile di passaggio. “E’ mia intenzione continuare la navigazione, senza fermarmi, verso le isole del pacifico, dove c’è sole in abbondanza e maggiore pace che in Europa. Vi prego di non pensare che questo sia il tentativo di battere un record. ‘Record’ è una parola molto stupida in mare. Continuo perché sono felice in mare, e forse anche per salvare la mia anima!”
L’unico ad arrivare a destinazione e aggiudicarsi il tanto ambito premio, e il titolo di Cavaliere, è quindi proprio Robin Knox-Johnston, dopo 313 giorni passati in mare. Il suo sogno si avvera, il suo nome e la sua impresa rimarranno nella storia per sempre.
L’edizione del cinquantenario
Dopo quella prima sensazionale edizione, la Golden Globe torna alla ribalta nel 2018, in occasione del suo cinquantenario. Il merito va all’eclettico avventuriero Don McIntyre, che guarda a quella nuova regata con un pizzico di nostalgia e romanticismo. La Golden Globe del 2018 è infatti una regata retrò, che vuole rendere omaggio a Robin Knox-Johnston e al suo Suhaili. In un’epoca in cui progresso e innovazione tecnologica fanno da padrone, Don McIntyre organizza una regata dal sapore vintage, limitata alle imbarcazioni più lente, più piccole, con design tradizionale e con la tecnologia degli anni 60.
Possono partecipare solo barche in vetroresina, tra i 32 e i 36 piedi, progettate prima del 1988, con dislocamento minimo di 6.200 kg, chiglia lunga con timone incorporato. Le costruzioni più recenti sono ammesse, a patto che rispettino questi standard e i disegni originali. McIntyre le definisce “sane navi d’alto mare”, di fatto sono barche piccole, lente, pesanti e poco invelate.
Le parole chiave per l’edizione 2018 sono due: incertezza e pazienza. Le barche non hanno GPS a bordo, si naviga con il sestante e si comunica solo tramite VHF. L’elettronica moderna è bandita, niente strumenti del vento, niente iPad, niente computer. L’unica eccezione è per un GPS apposto dagli organizzatori per motivi di sicurezza (e per consentire al pubblico di seguire la regata) e un telefono satellitare per contattare l’organizzazione una volta a settimana.
La partenza avviene il 18 luglio da Les Sables-d’Olonne, lo stesso porto da cui ogni quattro anni prende il via la Vendée Globe. La scelta di spostare la partenza da Plymouth a Les Sables-d’Olonne è dettata da motivi organizzativi e dall’incertezza generata dalla Brexit. Ci provano in 18, ma le prime defezioni non tardano ad arrivare.
Dopo 211 giorni, 23 ore e 12 minuti trascorsi in mare – cento giorni in meno di quelli impiegati nel 1968 da Sir Knox-Johnston – il primo a tagliare il traguardo è l’esperto velista francese Jean-Luc Van Den Heede a bordo del suo Rustler 36, Matmut. Arriva a Les Sables-d’Olonne dopo una regata non semplice, che lo ha messo a dura prova in più di un’occasione. Ma in fondo era proprio questo lo spirito della competizione.
A metà strada, all’inizio di novembre, tutto sembrava perduto. Al largo delle coste del Cile l’albero del Matmut si è spezzato. Van Den Heede è riuscito ad improvvisare un’attrezzatura di fortuna è ha deciso di proseguire, almeno finché la riparazione avesse retto. Non credeva che sarebbe durato molto con la barca in quelle condizioni, e invece ha stupito tutti, non solo arrivando fino alla fine, ma addirittura vincendo la regata.
Il 73enne, ex professore di matematica, dopo aver siglato il record di velocità in solitaria nel giro del mondo controvento, raggiunge così quota sei circumnavigazioni del globo.
Golden Globe e Vendée Globe
La Golden Globe non è l’unica regata che porta i concorrenti ad affrontare un giro del mondo in situazioni estreme. La sua parente più prossima è sicuramente la Vendée Globe: stesso percorso no stop, senza assistenza, in solitaria. Eppure le due non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra.
Cos’è che le differenzia?
Prima di tutto le imbarcazioni utilizzate, la Vendée Globe si corre con gli Imoca 60, barche costosissime dotate della più moderna tecnologia che consente prestazioni fuori dal comune. La Golden Globe prevede invece l’utilizzo di barche normali, alla portata di tutti, vintage.
Questo determina differenze sostanziali in termini di tempo impiegato per giungere al traguardo. La Vendée Globe dura in media 90 giorni, per concludere la Golden Globe ci si può impiegare anche un anno. Gli Imoca 60 infatti possono sfiorare la velocità incredibile di 30 nodi, le barche della Golden arrivano a malapena a 5 nodi.
Entrambe le regate da regolamento sono senza assistenza, ma gli skipper della Vendée Globe hanno a disposizione i migliori dispositivi e strumentazione all’avanguardia, come sistemi meteo, pc, foil e possono contare sull’aiuto di un team di esperti che, anche se da remoto, può intervenire in qualsiasi momento per dare supporto ai concorrenti. I marinai della Golden navigano con il sestante, non hanno contatti con la terraferma, non hanno GPS e per comunicare usano il VHF.
Tutto questo probabilmente rende la Golden Globe più vicina al pubblico. Immedesimarsi in uno skipper della Golden Globe è possibile, chiunque può acquistare una barca da Golden e sognare di vivere quell’avventura, la Vendée Globe è riservata a pochi eletti. Proprio in questo sta il fascino e il successo di una regata come la Golden Globe.
Il futuro della Golden Globe
Le difficoltà e gli incidenti che si sono verificati nelle due edizioni della Golden Globe finora svolte, non sono serviti a smorzare l’entusiasmo di pubblico e concorrenti e si sta già lavorando una nuova edizione. La prossima Golden Globe Race si svolgerà infatti nel 2022, la partenza è prevista sempre dal porto francese di Les Sables-d’Olonne.
I tempi però impongono dei cambiamenti, Don McIntyre e il team di organizzatori sono già all’opera per apportare qualche modifica al regolamento, così da garantire ai concorrenti una maggiore sicurezza e una maggiore copertura mediatica dell’evento.
Rimangono i limiti imposti alle imbarcazioni che dovranno sempre essere state costruite prima del 1988 e avere la chiglia lunga. Si sposta invece la data di partenza, che slitta da luglio a settembre. Gli skipper inoltre avranno la possibilità di rilasciare due interviste a settimana tramite cellulare e potranno inviare fotografie ai loro sponsor. Le imbarcazioni non disporranno di GPS, ma sarà possibile avere a bordo un ricevitore di carte meteo, in questo modo si dovrebbero limitare gli incidenti avvenuti nelle precedenti edizioni.
In totale sono 35 i posti disponibili suddivisi in Joshua Class (modelli che riproducono fedelmente l’imbarcazione di Bernard Moitessier) e Suhaili Class (tutte le altre barche ammesse e ispirate al Suhaili di Robin Knox-Johnston). Tra i partecipanti ci sarà anche un italiano, Guido Cantini, classe ’68, che gareggerà con un Vancouver 34 Classic, Hannah of Cowes. L’ultimo vincitore, Jean-Luc van den Heede, invece non sarà della partita. “Sono troppo vecchio, non ho nulla da guadagnare e va bene così” ha dichiarato. Lui non ci sarà ma la sua barca, il celebre Matmut, invece sì.
Ad acquistarlo per l’occasione è stato il maggiore dei fratelli Dalton, Graham, che ha inviato la sua iscrizione proprio mentre il fratellino Grant è impegnato nelle battute finali dell’America’s Cup. Due regate agli antipodi, ma in fondo anche i due fratelli lo sono. Determinazione, grinta, tenacia, fiducia in se stessi sono le caratteristiche che li accomunano, ma a fare la differenza è il rapporto con i media e gli sponsor. Mentre Grant, il ceo di Emirates Team New Zeland, è perfettamente a suo agio sotto i riflettori, Graham è molto più schivo, infatti nella Golden Globe 2022 gareggerà senza sponsor. Le ragioni della sua iscrizione sono diverse, prima tra tutte però la voglia di rivalsa: i due tentativi precedenti di circumnavigare il globo si sono conclusi con un niente di fatto. Nella Velux Oceans del 2003, giro del mondo in solitaria in quattro tappe, ha disalberato vicino Capo Horn e nel 2007 ha completato la stessa gara finendo fuori tempo massimo.
L’obiettivo di Graham è uno solo: diventare il nuovo vincitore della Golden Globe. Per questo motivo sta lavorando ad alcune idee che renderanno Matmut ancora più veloce. Con la possibilità di contare sul supporto e sull’esperienza del mitico Jean-Luc Van Den Heede e del suo Rustle 36, chissà che i suoi sogni questa volta non diventino realtà.