Plasticus, questo è il nome scelto per la nuova specie di minuscolo crostaceo scoperta dai ricercatori dell’Università di Newcastle nelle profondità della Fossa delle Marianne nell’Oceano Pacifico.
“Abbiamo deciso il nome Eurythenes Plasticus perché volevamo sottolineare il fatto che dobbiamo agire immediatamente per fermare lo ‘tsunami’ di rifiuti di plastica che si riversa nei nostri oceani“, spiega Alan Jamieson, ricercatore capo presso l’Università di Newcastle. Tsunami di plastica che non ha risparmiato neanche questi crostacei che hanno presentato contaminazioni da Pet, polietilene tereftalato, plastica.
“La specie appena scoperta, Eurythenes Plasticus, ci mostra quanto siano gravi gli effetti della gestione inadeguata dei rifiuti di plastica” ha dichiarato Isabella Pratesi, direttore Conservazione di Wwf Italia. “Specie che vivono nei luoghi più profondi e remoti della terra hanno già ingerito plastica prima ancora di essere conosciute dall’umanità. La plastica è nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo e ora anche negli animali che vivono lontano dalla civiltà umana”.
“Non tutti gli individui della nuova specie E. Plasticus contengono plastica. Quindi c’è ancora speranza che molti altri esemplari ne siano privi”, continua Pratesi. “Per aiutare a proteggere le specie marine e i loro habitat naturali, stiamo chiedendo anche in Italia di lavorare per un trattato internazionale legalmente vincolante per porre fine all’inquinamento marino della plastica”.
Da dove arriva tutta questa plastica?
Il lungo viaggio della plastica verso gli oceani inizia solitamente nei paesi industrializzati e l’Italia non fa eccezione.
L’Italia infatti rappresenta il maggior produttore di manufatti in plastica nell’area mediterranea. Non solo. Con i suoi quasi 4 milioni di tonnellate di rifiuti plastici l’anno, è il secondo paese in termini di produzione di rifiuti in plastica di cui oltre l’80% è costituito da imballaggi.
Nella maggior parte dei casi i rifiuti di plastica dei paesi industrializzati finisce nel sud est asiatico, dove la gestione di tali rifiuti, quando esiste, è spesso insufficiente. Ecco che allora tutta questa plastica, non potendo essere riciclata, viene bruciata o buttata nelle discariche. Da lì ad arrivare nei fiumi il passo è brevissimo.
Una volta in acqua i rifiuti si trasformano in microplastiche e poi nanoplastiche che si diffondono negli oceani di tutto il mondo e vengono ingerite dagli animali marini, come nel caso dell’E. Plasticus o del Prochlorococcus, microrganismo fondamentale che è alla base di almeno il 20% della produzione di ossigeno che proviene dai batteri marini. È chiaro ormai che le nanoplastiche possono influenzare e compromettere la capacità fotosintetica di questi piccoli microrganismi in modo irreparabile.
Cosa sta facendo l’Italia?
Dopo la vicenda della plastic tax e in attesa di capire quale destino avrà il disegno di legge c.d. Salva Mare, per ora fermo in Senato, l’Italia attende un segnale dal governo sul corretto recepimento della direttiva europea sulla plastica monouso. Il passo successivo sarà avviare tutte quelle iniziative politico-istituzionali in grado di arginare l’inquinamento da plastica. La questione non è delle più semplici. La normativa comunitaria stabilisce che entro il 2021 debbano essere banditi i piatti, le posate, le cannucce, le aste per palloncini. Da gennaio 2011 nel nostro Paese sono vietate le buste di plastica non biodegradabili. Dal 2018 al bando anche i sacchetti ultraleggeri di plastica per gli alimenti sfusi; dal primo gennaio 2019 è vietato l’uso di bastoncini cotonati non biodegradabili e dal primo gennaio 2020 l’uso di microplastiche nei prodotti cosmetici da risciacquo.
Ma per porre fine all’inquinamento marino da plastica, serve una soluzione globale. Per questo lo scorso anno il WWF ha lanciato una campagna internazionale con cui chiedeva l’istituzione di un trattato globale giuridicamente vincolante per ridurre i rifiuti di plastica, migliorarne la gestione e porre fine all’inquinamento marino da plastica. La petizione è stata già firmata da oltre 1,6 milioni di persone in tutto il mondo.